Oggi è mercoledì. Strano giorno per la parola del martedì. Lo so. Ma in questi quattro giorni (da sabato pomeriggio n.d.a.) il blog è stato in manutenzione. Niente di che solo qualche ritocchino necessario a velocizzare il caricamento.
Ma passiamo a noi. La parola di oggi è sincero.
sincèro agg. [dal lat. sincerus, propr. «non mescolato, fatto di un solo elemento, di una sola sostanza», e quindi «schietto, puro» (dalla stessa radice *sem-, *sim- «uno, uno solo» di semel e simplex)]. – 1. Genuino, puro; non alterato: Questa natura al suo fattore unita, Qual fu creata, fu s. e buona(Dante); è un sign. ant., comune oggi soltanto nelle espressioni vino, olio s., schietto, non mescolato o adulterato. Anche, sempre nell’uso ant., vero, retto (in contrapp. a falso, spurio); o chiaro, limpido: la mia vista, venendo sincera, E più e più intrava per lo raggio (Dante). 2. fig. a.Riferito a persona, che nel parlare e nell’agire segue ed esprime ciò che sente o pensa, senza simulazione o finzione e senza reticenze: un uomo s.; una persona s.; è un ragazzo s., gli devi credere; tra amici bisogna essere sinceri; e quindi animo, cuore s.; com. l’espressione voglio essere s., sono, sarò sincero, come premessa e quasi scusa preventiva a notizie e giudizî che non riusciranno graditi alla persona cui ci si rivolge. Per estens., che sente veramente ciò che fa, ciò che dimostra e dice di essere: un amico s.; sono un suo s. ammiratore; è un cristiano s.; chi non crede nell’eguaglianza e nella libertà non può essere un s. democratico. b. Riferito a parole o comportamenti, detto, fatto senza alcuna falsità o doppiezza, senza doppî fini, seguendo ciò che realmente si pensa e si sente: un discorso s.; ti chiedo una risposta s., un giudizio s.; è un’offerta s., una proposta s.,credimi!; usato avverbialmente: parlare sincero. In formule con cui si vuole esprimere la propria partecipazione ad avvenimenti lieti o dolorosi di altri: s. rallegramenti; augurî s.; s. condoglianze; le più s. felicitazioni. In partic., di sentimenti e atteggiamenti, che sono realmente e intimamente provati, la cui espressione non è finta o esagerata: affetto, amore s.; dolore, sdegno s.; lacrime s.; un pentimento non sincero.
Sempre caro mi fu questo corto lemma. Perché almeno in quello che scrivo, da sempre, c’è tutto il mio cuore, i miei sentimenti e le mie idee pure, non edulcorate, al massimo ragionate e limate per renderle più rotonde al palato.
Ma cosa mi ha fatto affezionare così tanto a questo vocabolo? La sua origine, incerta ma ricca di fascino: tra le tante ne ho scelte due che ho piacevolmente scoperto durante i discorsi di Mons. Giulio Brambilla, vescovo di Novara, vicepresidente della CEI per l’Italia settentrionale ed eminente biblista, ai giovani della sua diocesi.

Il primo deriva dagli antichi romani: secondo loro il nome Sincerus deriverebbe da sine (=senza) e cera (nel senso di miele puro): infatti il grammatico Elio Donato, nelle note a Publio Terenzio Afro, così definisce la voce: purum sine fuco, et simplex, ut mel sine cera. Quindi sincera è una persona cristallina, la cui anima è trasparente e pura, e che per sé stessa impiega la stessa cura che l’apicoltore adopera per separare la cera dal miele.

La seconda interpretazione vedrebbe il termine nascere sempre da un senza cera, con riferimento agli scultori che non usavano la cera per mascherare i difetti delle proprie opere, e quindi sinceri, genuini. Era uso mescolare polvere di marmo e cera per creare una pasta modellabile che serviva proprio a coprire eventuali errori. Perciò una statua che si definiva sine cera era più preziosa e il suo scultore era definito sicuramente maestro. A me piace pensarla così una persona sincera: preziosa e senza maschere che nascondano i difetti.
E voi che ne pensate?